Solo dopo aver avuto dei figli e aver firmato di essere a conoscenza della procedura, dei rischi e della garanzia di anonimato, si può fare dono dei propri ovuli.
Siccome io non lo so cosa avrei fatto se non avessi potuto avere figli (perché è facile parlare prima di viverle le cose), quando ho sento dire che donare gli ovuli è come donare il sangue o il midollo o gli organi, mi son chiesta perché mai allora io non li dovrei donare. (Qui in Francia, c’era la pubblicità per donare al laboratorio analisi).
Ma è che in verità, non mi sembra proprio la stessa cosa e non potrei vivere non sapendo dove siano finiti, i miei ovuli e soprattutto i miei geni.
In molti paesi, in Europa del nord (sempre loro, naturalmente) hanno cominciato a riconoscere il diritto alle origini di tutti i bambini, che siano adottati o nati da un dono. Sembra che in un primo momento i donatori siano diminuiti (specialmente i donatori di seme, che sono in numero maggiore), ma in seguito la popolazione di donatori ha ricominciato a crescere e si è stabilizzata. La spiegazione sarebbe che la popolazione è cambiata.
E infatti anche io potrei cambiare idea se sapessi che il diritto alle origini fosse garantito. Mi sembra una bella cosa che il bambino nato da un dono, possa conoscere o avere il nome e la foto del donatore/donatrice. Ma mica per fargli da seconda madre, che i bambini sono di chi li cresce, ma per principio, ecco, per il diritto di sapere.
Perché se un giorno un bambino, nato da un dono, che sta diventando adulto si chiedesse da dove viene quel naso enorme che si ritrova, allora che tutti nella sua famiglia hanno un grazioso nasino alla francese, bè vorrei che potesse telefonare o mandare un email e chiedere spiegazioni. E io potrei giustificarmi, spiegarli che la foto che gli hanno dato non è stata ritoccata con photoshop, ma che nella foto non si vede il naso di zio Mario e neanche quello di nonno Beppe. E che niente quando c’hai due nasi così nel ramo paterno e nel ramo materno, puoi solo incrociare le dita.
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